Le pillole di Brant: Royal Blood, Mark Lanegan, Bob Mould

A cura di Eli Brant.

ROYAL BLOOD - Royal Blood

CAZZUTI.
Probabilmente il miglior esordio dell'ultimo quinquennio (ed anche oltre dai..).
Una semplice idea di partenza: basso distorto al massimo, batteria dirompente e tanta, tanta voglia di rock/stoner.
Un mix sapiente di QOTSA e Muse, di mood ledzeppeliniano con un pizzico di punk/rock. Il tutto poi shakerato con tanto Jack White.Un'alchimia nuova e perfetta. Riff semplici, ma coinvolgenti e poi due brani da urlo: "Little Monster" e "Figure it out". Nel complesso, però, è tutto l'album a reggere, in soli 32.38 min, il peso di un'intera nuova generazione di rocker. Inglesi. E te pareva. Insomma, miglia avanti le ultime produzioni (es i Black keys..dai senza offesa...li adoro lo sapete). Non hanno (consapevolmente) inventato nulla, ma riescono ad essere lo stesso tremendamente ammalianti e per questo, GENIALI. Speriamo, insomma, che il Sangue Reale non si esaurisca così rapidamente come è sgorgato.
Ah dimenticavo, Mike Kerr (Basso e voce) ha 23 anni, mentre Ben Thatcher (batteria) ne ha appena compiuti 26. 

Long live Royal blood!

VOTO: 8


MARK LANEGAN - Phantom Radio

"Ancora?!No dai..un altro album di Mark?Non ne posso più!"
O almeno, questo è quello che m'è venuto da pensare dopo l'ultima caduta di stile con il disco di cover (Imitations).
Ma devo ricredermi: era dura rialzarsi da una batosta del genere, ma quel sornione di Mark ce l'ha fatta ancora. Per fortuna.
Non siamo ai livelli di Blues Funeral (capolavoro assoluto del 2012), ma comunque il risultato è decisamente alto. La copertina, stupenda come al solito, incorpora l'opera dall'artista messicano Gustavo Rimada ("Santa Muerte"). Ed è proprio quest'idea che richiamano i brani che sono, se possibile, ancora più funerei del passato. Ma, come nella copertina, riecheggia anche un senso di accettazione e rilassamento tipico di culture (es. proprio quella messicana) in cui la morte è vissuta come parte integrante della vita e per questo anche festeggiata.

Canzoni come I am the wolf o The wild people sembrano disegnare un quadro gioioso, ma comunque sempre pervaso da ombre di tristezza. Bisogna sottolineare come quest'album sia un tentativo di Mark di discostarsi dalle produzioni precedenti, operando una decisa virata verso un sound New wave con venature a metà tra i Joy Division ed i The Smiths. Un disco però lungo e forse difficile da digerire fino in fondo. Mancano, infatti, dei brani veramente trascinanti utili a spezzare il ritmo. Insomma, una buona prova con uno sguardo verso un sound diverso, ma non ancora pienamente maturo.

VOTO: 7

 BOB MOULD - Beauty & Ruin

Sicuramente esiste già, ma mi viene in mente solo "college rock" per cercare di circoscrivere il sound di Bob Mould (ex Husker Du). Un pò American Pie, un pò Dawson's Creek. Ma allora perché ascoltarlo??

La verità è che in fondo c'è dell'altro: qualcosa a metà strada tra i primi Foo Fighters ed i No Fx o tra i Weezer ed i Sunny Day Real Estate (roba ottima insomma). Il problema vero è che Bob troppo spesso si perde tra riff pop/punk (anche questo..esiste davvero?!?chissenefrega vah) e motivetti da sigla. Ciò non toglie che ci siano dei gran pezzi che meritano più di un semplice ascolto: Low season ti coinvolge col suo incedere lento e maestoso; Nemesis are Laughing - forse la migliore dell'album - ha un piglio grunge ed un gran crescendo; Fire in the city ti prende con la sua innocenza pop.
In generale, però, c'è da sottolineare una freschezza produttiva di fondo che impreziosisce l'intero album. E tenendo conto che proviene da un ragazzotto di 54 anni, l'energia che ne deriva è davvero raddoppiata.

Forse non è ai livelli dello scorso Silver Age, ma sicuramente è un album piacevole da ascoltare.

VOTO: 6