Live report e foto a cura di Fabio S.
“Concerto dei
Trail of Dead, ovvero al mio 3 scatenate l’inferno”.
La o2 Accademy di
Islington è piuttosto piccola, e per l’occasione non era neanche
pienissima, ma me lo aspettavo, stiamo parlando infatti di un gruppo
che non ha un grandissimo pubblico, soprattutto in UK e in Europa
(sicuramente va meglio a casa loro) e ogni volta che lo nomino a
qualcuno (il nome completo è ...And You
Will Know Us By The Trail of Dead) la
riposta 8 volte su 10 è: “Chiiiii??? E che suonano??”. Suonano
alternative / post hardcore, ma dargli un’etichetta non è così
semplice, alcuni loro album sono dei concept in cui c’è molto art
e progressive rock. Tao of the Dead
(2011) è considerato dalla critica il loro miglior album, anche se
io personalmente considero Worlds Apart
(2005) un piccolo capolavoro del genere. Due album stupendi che
consiglio di ascoltare a chi voglia avvicinarsi a questa band.
I 4 texani salgono
sul palco con le facce da bravi ragazzi, puliti, ordinati, con
addosso jeans, maglietta, e scarpe classiche. Capelli corti
pettinati, niente orecchini, niente piercing, un paio di tatuaggi
appena visibili, una bottiglietta d’acqua a disposizione. Roba da
rendere fiere tutte le mamme del mondo. Prendono posto, il batterista
batte il tempo con le bacchette e.... dal quel momento sarà
devastazione per tutta la durata del concerto.
Volano in aria i primi bicchieri di birra e alcune ragazze tranquille che si erano appostate in prima fila dopo un paio di minuti sono costrette a rifugiarsi in un angolo per evitare di essere travolte dai pogatori a briglia sciolta.
Sul palco il
delirio: Jason Reece
e Jamie Miller
si scambiano di posto, chitarra e batteria, ad ogni canzone, e fanno
a gara a chi picchia di più con le bacchette, e sono uno più bravo
dell’altro, le rullate di Jason soprattutto sono assolutamente
fantastiche. Il bassista, Autry
Fulbright II, si butta all’indetro
sul palco o in avanti sulla prima fila, improvvisando qualche mossa
alla Jimi Hendrix con lo strumento dietro la testa (più scena che
altro). Conrad Keely
(chitarra e voce) è sudato da far schifo dopo soli 10 minuti, cambia
in continuazione chitarra, si butta su quelli in prima fila e spinge
i suoi amici ridacchiando.
Il repertorio è
grande, grazie ai loro 8 album, e cercano di coprire un po’ tutta
la loro carriera fino a questo momento, senza prediligere troppo
l’ultimo album (non recentissimo, ottobre 2012) di cui suonano solo
3 canzoni, tra cui spicca Catatonic,
resa molto più lunga e cattiva della versione studio. Non mancano i
classici come It Was There That I Saw
You, con
cui aprono, o la bellissima Will You
Smile Again?, e ancora Caterwal
e Isis Unveiled.
Basta poco a capire
che il pazzo più furioso è Jason, che sicuramente aveva esagerato
con qualche drink. Presenta ogni canzone con: “e questa si intitola
Fuck You”, fa continuamente gestacci e smorfie, e ogni tanto fa
fatica a sbiascicare le parole. Fa stage diving con la chitarra,
stacca il cavo e la lancia sul palco dove il fedele assistente del
gruppo la prende, la riattacca e continua a suonare. Proprio
l’assistente è quello che ha da fare più di tutti. Sembra una
maestra d’asilo, ha il compito di assicurarsi che i suoi bambini
non si facciano male e che abbiano tutti i loro giocattoli pronti e
funzionanti. Corre da una parte all’altra a sbrigliare cavi,
raccogliere bacchette e chitarre volanti e ad accordare gli
strumenti. Ed è anche costretto a sgridarli, perché Jason (sempre
lui) alla fine del concerto allunga la sua chitarra verso un tizio in
prima fila che incredulo allunga le braccia per prenderla, ma la
maestra interviene, afferra con forza lo strumento e dà
un’occhiataccia al membro del gruppo come per dire “ma che ca**o
stai a fà”, e Jason si ritira dietro le quinte con la coda tra le
gambe.
Avevo letto che i
concerti dei Trail of Dead sono molto energici, ma non mi aspettavo
fino a questo punto. Live sono tutta un’altra band, usano il palco
come sfogo a tutta l’energia che evidentemente sono costretti a
contenere in studio. Le canzoni sono quasi irriconoscibili, e perdono
tutta la componente melodica presente negli album. La melodia non gli
interessa affatto, tant’è che non si portano neanche il piano sul
palco. Mentre le canzoni in studio sono molto studiate, e presentano
tanti piccoli dettagli, live diventano grezzissime, con chitarre
molto distorte, feedback e batteria tartassante.
Sul
palco vogliono fare un disastro, e ci riescono, perché molti tra il
pubblico finiscono il concerto fradici di sudore e con qualche
livido. Se si è quindi un amante del pogo sono imperdibili, ma chi
ha voglia di riprovare live le stesse sensazioni che si provano
ascoltando i loro album resterà deluso, perché non gli sarà
concesso neanche un minuto di pace. A fine concerto le orecchie
fischiano e si va via con qualche dubbio. Ok lo show, l’energia, il
delirio, ma bisogna storpiare così tanto il proprio suono? Mah!