Live report: Trail of Dead - 26/04/13- 02 Academy - London


Live report e foto a cura di Fabio S.

Concerto dei Trail of Dead, ovvero al mio 3 scatenate l’inferno”.
La o2 Accademy di Islington è piuttosto piccola, e per l’occasione non era neanche pienissima, ma me lo aspettavo, stiamo parlando infatti di un gruppo che non ha un grandissimo pubblico, soprattutto in UK e in Europa (sicuramente va meglio a casa loro) e ogni volta che lo nomino a qualcuno (il nome completo è ...And You Will Know Us By The Trail of Dead) la riposta 8 volte su 10 è: “Chiiiii??? E che suonano??”. Suonano alternative / post hardcore, ma dargli un’etichetta non è così semplice, alcuni loro album sono dei concept in cui c’è molto art e progressive rock. Tao of the Dead (2011) è considerato dalla critica il loro miglior album, anche se io personalmente considero Worlds Apart (2005) un piccolo capolavoro del genere. Due album stupendi che consiglio di ascoltare a chi voglia avvicinarsi a questa band.
I 4 texani salgono sul palco con le facce da bravi ragazzi, puliti, ordinati, con addosso jeans, maglietta, e scarpe classiche. Capelli corti pettinati, niente orecchini, niente piercing, un paio di tatuaggi appena visibili, una bottiglietta d’acqua a disposizione. Roba da rendere fiere tutte le mamme del mondo. Prendono posto, il batterista batte il tempo con le bacchette e.... dal quel momento sarà devastazione per tutta la durata del concerto.


Volano in aria i primi bicchieri di birra e alcune ragazze tranquille che si erano appostate in prima fila dopo un paio di minuti sono costrette a rifugiarsi in un angolo per evitare di essere travolte dai pogatori a briglia sciolta.
Sul palco il delirio: Jason Reece e Jamie Miller si scambiano di posto, chitarra e batteria, ad ogni canzone, e fanno a gara a chi picchia di più con le bacchette, e sono uno più bravo dell’altro, le rullate di Jason soprattutto sono assolutamente fantastiche. Il bassista, Autry Fulbright II, si butta all’indetro sul palco o in avanti sulla prima fila, improvvisando qualche mossa alla Jimi Hendrix con lo strumento dietro la testa (più scena che altro). Conrad Keely (chitarra e voce) è sudato da far schifo dopo soli 10 minuti, cambia in continuazione chitarra, si butta su quelli in prima fila e spinge i suoi amici ridacchiando.


Il repertorio è grande, grazie ai loro 8 album, e cercano di coprire un po’ tutta la loro carriera fino a questo momento, senza prediligere troppo l’ultimo album (non recentissimo, ottobre 2012) di cui suonano solo 3 canzoni, tra cui spicca Catatonic, resa molto più lunga e cattiva della versione studio. Non mancano i classici come It Was There That I Saw You, con cui aprono, o la bellissima Will You Smile Again?, e ancora Caterwal e Isis Unveiled.
Basta poco a capire che il pazzo più furioso è Jason, che sicuramente aveva esagerato con qualche drink. Presenta ogni canzone con: “e questa si intitola Fuck You”, fa continuamente gestacci e smorfie, e ogni tanto fa fatica a sbiascicare le parole. Fa stage diving con la chitarra, stacca il cavo e la lancia sul palco dove il fedele assistente del gruppo la prende, la riattacca e continua a suonare. Proprio l’assistente è quello che ha da fare più di tutti. Sembra una maestra d’asilo, ha il compito di assicurarsi che i suoi bambini non si facciano male e che abbiano tutti i loro giocattoli pronti e funzionanti. Corre da una parte all’altra a sbrigliare cavi, raccogliere bacchette e chitarre volanti e ad accordare gli strumenti. Ed è anche costretto a sgridarli, perché Jason (sempre lui) alla fine del concerto allunga la sua chitarra verso un tizio in prima fila che incredulo allunga le braccia per prenderla, ma la maestra interviene, afferra con forza lo strumento e dà un’occhiataccia al membro del gruppo come per dire “ma che ca**o stai a fà”, e Jason si ritira dietro le quinte con la coda tra le gambe.
Avevo letto che i concerti dei Trail of Dead sono molto energici, ma non mi aspettavo fino a questo punto. Live sono tutta un’altra band, usano il palco come sfogo a tutta l’energia che evidentemente sono costretti a contenere in studio. Le canzoni sono quasi irriconoscibili, e perdono tutta la componente melodica presente negli album. La melodia non gli interessa affatto, tant’è che non si portano neanche il piano sul palco. Mentre le canzoni in studio sono molto studiate, e presentano tanti piccoli dettagli, live diventano grezzissime, con chitarre molto distorte, feedback e batteria tartassante.


Sul palco vogliono fare un disastro, e ci riescono, perché molti tra il pubblico finiscono il concerto fradici di sudore e con qualche livido. Se si è quindi un amante del pogo sono imperdibili, ma chi ha voglia di riprovare live le stesse sensazioni che si provano ascoltando i loro album resterà deluso, perché non gli sarà concesso neanche un minuto di pace. A fine concerto le orecchie fischiano e si va via con qualche dubbio. Ok lo show, l’energia, il delirio, ma bisogna storpiare così tanto il proprio suono? Mah!