Recensione: The Black Angels - Indigo Meadow (2013)

Recensione a cura di Fabio S.

Nati nel 2004 nel bel mezzo del deserto texano, i Black Angels sono sicuramente una delle band più interessanti del panorama rock/psichedelico degli ultimi 10 anni. Sia il nome che il logo della band è un omaggio ai loro dei, ovvero i Velvet Underground, fonte di ispirazione infinita per tantissimi gruppi, di diverso genere. Fanno gavetta suonando in importantissimi festival americani, il Lollapalooza tra tutti, dividendo il palco con grandi nomi come The Black Keys, The Brian Jonestown Massacre, The Warlocks, Wolfmother. Come lo stesso gruppo racconta, durante uno di questi festival Josh Homme dei QOTSA entrò con una bottiglia di tequila nel loro camerino e disse: ”I like your style”. E se c’è il timbro di Josh siamo tutti più tranquilli, no?!

Indigo Meadow” è il loro quarto album, il primo che vede la band in formazione ridotta, sono passati infatti da 5 a 4 membri. L’album continua in grandi linea un percorso iniziato con l’album precende, “Phosphene Dream” , nel senso che si distacca dalle sonorità più cupe e sinistre dei primi due album, per prediligere un suono più leggero e dinamico. Anche la lunghezza delle canzoni rientra in canoni più pop/rock (intorno ai 4 min), rinunciando così a quelle lunghe sezioni ritmiche che avevano caratterizzato i primi lavori.
A parte questo non mancano le caratteristiche tipiche della musica rock/psichedelica, come riff solidi e ripetitivi, ritmi tribali, sonorità orientali, sperimentazioni negli arrangiamenti. Ma ciò che si percepisce durante tutto l’ascolto dell’album e la forte componente anni ’60 e British. D’altronde i membri del gruppo non hanno mai nascosto la loro passione per The Beatles e The Kinks, e per il garage rock in generale. Ma i rimandi alle band anni 60/70 non finiscono qui: “Evil Things” ha un fortissimo marchio Black Sabbath, sia nel pesante riff di chitarra, sia nel cantato, che ricorda molto Ozzy. “The Day” sa molto di Cream, soprattutto nella ritmica e nel coro del verso. Il riff di chitarra di “War on Holiday” ricorda invece moltissimo (forse troppo) Lucifer Sam dei Pink Floyd. Il mood fresco e dinamico del disco viene spezzato solamente con due tracce: “Always Maybe” e “Black isn’t Black”, che chiude l’album; entrambe rispolverano i ritmi bassi e i toni sinistri che avevano dominato nei primi due album.

Anche dal punto di vista dei testi non si parla solamente di droghe e visioni oniriche, temi caldi della psichedelica, ma bensì di un pò di tutto, dalla famiglia, ai viaggi, ai temi più seri come la politica. Ad es. dopo aver parlato della guerra del Vietnam nel loro primo album, questa volta con il singolo “Don’t Play With Guns” toccano il delicato tema dell’uso delle armi negli States.
Nel complesso “Indigo Meadow” è un album che grazie a delle sapienti fusioni suona allo stesso tempo moderno ma maledettamente retro, che non brilla per dei singoli eccellenti ma ogni singola traccia presenta a modo suo un particolare interessante, che può riguardare la ritmica, la voce, i riff, gli arrangiamenti, o altro. Ed e’ un album che senza dubbio si presta all’ascolto anche di chi non è un grandissimo fan della musica psichedelica. Sicuramente fa fare un ulteriore passo ai Black Angels per smuoverli dalla scena underground ed avvicinarli al mainstream. Non so se diventeranno mai un gruppo da grande pubblico, intanto si godono da headliners il festival di casa loro, l’Austin Psych Fest, come accade ormai da 6 anni a sta parte, in futuro, chi sa?

Voto: 70/100
Top tracks: Evil Things, The Day, Broke Soldier