Recensione a cura di Fabio S.
Nati
nel 2004 nel bel mezzo del deserto texano, i Black Angels sono
sicuramente una delle band più interessanti del panorama
rock/psichedelico degli ultimi 10 anni. Sia il nome che il logo della
band è un omaggio ai loro dei, ovvero i Velvet Underground, fonte di
ispirazione infinita per tantissimi gruppi, di diverso genere. Fanno
gavetta suonando in importantissimi festival americani, il
Lollapalooza tra tutti, dividendo il palco con grandi nomi come The
Black Keys, The Brian Jonestown Massacre, The Warlocks, Wolfmother.
Come lo stesso gruppo racconta, durante uno di questi festival Josh
Homme dei QOTSA entrò con una bottiglia di tequila nel loro camerino
e disse: ”I like your style”. E se c’è il timbro di Josh siamo
tutti più tranquilli, no?!
“Indigo Meadow”
è il loro quarto album, il primo che vede la band in formazione
ridotta, sono passati infatti da 5 a 4 membri. L’album continua in
grandi linea un percorso iniziato con l’album precende, “Phosphene
Dream” , nel senso che si distacca dalle sonorità più cupe e
sinistre dei primi due album, per prediligere un suono più leggero e
dinamico. Anche la lunghezza delle canzoni rientra in canoni più
pop/rock (intorno ai 4 min), rinunciando così a quelle lunghe
sezioni ritmiche che avevano caratterizzato i primi lavori.
A parte questo non
mancano le caratteristiche tipiche della musica rock/psichedelica,
come riff solidi e ripetitivi, ritmi tribali, sonorità orientali,
sperimentazioni negli arrangiamenti. Ma ciò che si percepisce
durante tutto l’ascolto dell’album e la forte componente anni ’60
e British. D’altronde i membri del gruppo non hanno mai nascosto la
loro passione per The Beatles e The Kinks, e per il garage rock in
generale. Ma i rimandi alle band anni 60/70 non finiscono qui: “Evil
Things” ha un fortissimo marchio
Black Sabbath, sia nel pesante riff di chitarra, sia nel cantato, che
ricorda molto Ozzy. “The Day”
sa molto di Cream, soprattutto nella ritmica e nel coro del verso. Il
riff di chitarra di “War on Holiday”
ricorda invece moltissimo (forse troppo) Lucifer Sam dei Pink Floyd.
Il mood fresco e dinamico del disco viene spezzato solamente con due
tracce: “Always Maybe”
e “Black isn’t Black”,
che chiude l’album; entrambe rispolverano i ritmi bassi e i toni
sinistri che avevano dominato nei primi due album.
Anche dal punto di
vista dei testi non si parla solamente di droghe e visioni oniriche,
temi caldi della psichedelica, ma bensì di un pò di tutto, dalla
famiglia, ai viaggi, ai temi più seri come la politica. Ad es. dopo
aver parlato della guerra del Vietnam nel loro primo album, questa
volta con il singolo “Don’t Play
With Guns” toccano il delicato tema
dell’uso delle armi negli States.
Nel complesso
“Indigo Meadow”
è un album che grazie a delle sapienti fusioni suona allo stesso
tempo moderno ma maledettamente retro, che non brilla per dei singoli
eccellenti ma ogni singola traccia presenta a modo suo un particolare
interessante, che può riguardare la ritmica, la voce, i riff, gli
arrangiamenti, o altro. Ed e’ un album che senza dubbio si presta
all’ascolto anche di chi non è un grandissimo fan della musica
psichedelica. Sicuramente fa fare un ulteriore passo ai Black Angels
per smuoverli dalla scena underground ed avvicinarli al mainstream.
Non so se diventeranno mai un gruppo da grande pubblico, intanto si
godono da headliners il festival di casa loro, l’Austin Psych Fest,
come accade ormai da 6 anni a sta parte, in futuro, chi sa?
Voto: 70/100
Top tracks: Evil Things, The Day, Broke Soldier