Live report: Super Bock Super Rock 2013

SUPER BOCK SUPER ROCK 2013
      meco – portugal –

cronache da una tre giorni di concerti

A cura di Eli brant

Portogallo. Perché proprio il Portogallo? Tutto è nato dal fatto che anche quest’estate e per l’ennesima volta, i QOTSA hanno deciso di evitare il Bel Paese e quindi saranno in Italia solo in Novembre (Mediolanum Forum – MI). Ho adorato da subito “..Like clockwork” e dunque i dubbi di tornare finalmente a vederli dopo 7 anni (!) erano davvero pochi.
Restava solo da individuare il festival europeo più adatto.
E la scelta non è stata per nulla ardua.
Innanzitutto, perché sono innamorato del Portogallo e poi perché il “Super Bock Super Rock” di quest’anno, oltre ad avere un cast d’eccezione (Arctic Monkeys, Black Rebel Motorcycle Club, Jhonny Marr (The Smiths), Tomahawk, tra i migliori nomi), è stato sapientemente fissato per un week end lungo (da Giovedì 18 Luglio a Sabato 20) utile anche per i non disoccupati o ragazzini.
Insomma, trovata la compagnia giusta sono partito senza troppi altri giri di testa.

E’ necessario però a questo punto fare un’importante premessa sul concetto di festival in Europa. E l’Italia, come vedrete, anche in questo è terribilmente indietro.
Al di fuori di sparuti nonché sporadici tentativi infatti  (vedi il vecchio Flippaut Festival, l’Indipendent day e se vogliamo anche l’Heineken Jammin Festival), nel nostro paese non c’è assolutamente la cultura del festival Rock su più giorni.
Non esiste insomma l’idea di individuare un luogo abbastanza disperso nel nulla, più o meno facile da raggiungere, magari anche bello dal punto di vista naturalistico e soprattutto sufficientemente ampio per poter accogliere una moltitudine di spettatori in camping, con parcheggi ad hoc e navette di collegamento.
Ma più di tutto, non c’è la volontà di proporre qualcosa di alternativo al solito festival “a tema”. Quest’ultima in particolare è una caratteristica molto europea e nello specifico portoghese: è incredibile, infatti, la capacità della gioventù lusitana di accogliere con calore band di provenienza musicale così distante. Per rendere un po’ l’idea di un qualcosa del tutto impensabile in Italia, nei festival europei ci sono sempre due o tre palchi, ognuno con il suo orientamento musicale.


Possiamo quindi trovare il palco Rock e poi affianco quello Elettronico per arrivare anche al palco Dance vero e proprio o Folk..insomma, davvero di tutto!


Ma la differenza più netta c’è nell’ambito dello stesso palco, dove è possibile ascoltare musicisti completamente diversi tra loro.
In questo caso, ad esempio, prima dei Q.O.T.S.A. hanno suonato gli Ash, che forse nessuno ricorda se non per il loro tormentone anni ’90 “Burn baby burn
ma che certamente nessuno si azzarderebbe a definirebbe stoner o rock “duro”.

Oppure i Tomahawk si sono esibiti prima dei Kaiser chiefs e dei  The Killers.
Insomma, scelte apparentemente incoerenti, che in Italia nel 2000 per esempio  sono costate caro ai Blink 182: sebbene non così agli antipodi come sound rispetto agli headliner (Limp Bizkit), vennero sommersi di pietre e bottiglie, dovendo interrompere lo show dopo appena 3 pezzi.
E lo stesso fenomeno in versione minore accade ogni volta che una band emergente deve aprire per un’altra di maggior spessore.
Sicuramente una forma di inciviltà, ma soprattutto di chiusura mentale (musicale).
Ma allo stesso tempo, forse, anche un segno di una sorta di divisione sociale in seguaci di generi “in” e “out” (a seconda dei gusti) e relativa autodeterminazione individuale in relazione all’appartenenza all’una o all’altra categoria (ved. ad es. hip-hop vs. reggae o metal vs. dance).

Insomma, ai portoghesi (ed agli europei in genere) di questo non può fregar di meno.
L’importante è stare insieme e godere della musica, più o meno buona che sia e soprattutto, a prescindere dagli orientamenti.

Certo, questo può a volte far storcere il naso, ma non è questo il senso ultimo del festival. L’obiettivo infatti è (anche) quello di creare una generazione avvezza alla musica in generale e soprattutto aperta ad ogni genere e cultura.
Cosa a cui, purtroppo, qui in Italia non siamo assolutamente abituati né forse pronti.


Ma veniamo al concerto.
La mia recensione riguarderà (chiaramente) solo gli shows che ho scelto di vedere.
Tutti gli altri restano fuori poiché il tempo in Portogallo purtroppo è stato davvero poco.

18 Giugno – Prima serata – Arctic Monkeys + Johnny Marr (The Smiths)

La prima giornata ha avuto gli Arctic Monkeys come headliner e Johnny Marr (chitarrista dei The Smiths) come apripista.
Quest’ultimo è sembrato davvero in ottima serata.
E’ in tour per presentare il suo primo album solista “The Messenger”, ma chiaramente non si è tirato indietro dal proporre le più grandi hit dei “The Smiths”. E comunque sì!
Qualora ve lo stiate domandando, sì, ha cantato lui. E devo dire che l’assenza di Morrisey non è stata così lacerante come avrei potuto pensare. Anzi.


Ci sono stati momenti di grande intensità emotiva. Chiaramente l’alchimia degli Smiths è incentrata sul perfetto incastro tra la chitarra trasognata di Marr e la voce eterea di Morrisey. Ma ripeto, il risultato finale non è stato assolutamente deprecabile e non avendo potuto mai vedere la band originale dal vivo, l’impressione finale è stata più che gradevole e confortante.

Il canto di Marr, straordinariamente “english” ed intonato, ci ha fatto viaggiare indietro nel tempo per una carrellata di sonorità ‘80ies di quelle che si conservano gelosamente e con affetto nel cassetto dei ricordi preziosi. Quanto ai suoi brani, nulla da recriminare.
Un brit pop perfetto, fatto con cura e senza sbavature mainstream.
Insomma, solo dell’ottimo buon gusto con cui è stato davvero piacevole trascorrere la serata.

Certo non poteva mancare la cover punk per eccellenza: “I Fought the Law”. Mentre per la chiusura dello spettacolo la scelta è ricaduta sulla struggente “There Is a Light That Never GoesOut”.
Insomma applausi a scena aperta.

Ma ecco finalmente la band di punta della prima serata: gli Arctic Monkeys.
Il 90% dei giovani presenti probabilmente è venuto esclusivamente per loro (il giorno dopo per i The Killers).
E la band di Sheffield non ha deluso le aspettative. Un’ora e mezza di puro rock dal sapore british, imbastardito da elementi ‘60ies ed ultimamente anche da atmosfere più oscure figlie forse dell’incontro con il loro scorso produttore e attuale amico Josh Homme (Q.o.t.s.a.).

Gli Arctic Monkeys hanno pronto il loro quinto album (n.d.a. l’articolo è di Luglio) chiamato semplicemente “AM” in onore del loro nome certo, ma anche di un orario particolarmente mattutino. E’ lo stesso Homme (che ha anche collaborato con la band in un brano) a ritenere che questo LP possa rappresentare il manifesto di un certo modo di vivere la notte.
Non a caso gli ultimi brani pubblicati singolarmente dalla band e che andranno a finire nel nuovo lavoro, sono anche i più morbosi e rockettari finora proposti.
Ma sono anche già dei veri e propri inni.
Uno su tutti “R U Mine?”, rappresenta alla perfezione il nuovo stile “live” degli Arctic Monkeys e nella sua perfezione raggiunge livelli altissimi di identificazione generazionale, quasi come se fosse (e qui mi spingo decisamente troppo in là.. o forse no?!)  la “Smells like teen spirit” dell’adolescenza targata anni “00.
Alex Turner, mente e anima della band, è decisamente sbocciato rispetto agli esordi in cui, nonostante la stoffa da rocker geniale, rimaneva ingabbiato in un corpo da ragazzino.
Magari il ciuffo a banana anni’50 e la giacca di paiette a righe lo aiutano adesso a vestire meglio i panni da rocker maledetto. Insomma, se da un lato il risultato estetico finale non è dei più credibili, di certo il suono ed il carisma di Turner ne acquistano in incisività e padronanza del palco.
Il pubblico lo segue estasiato come se fosse un messia laico, cantando ogni singola parola (i portoghesi sono ottimi conoscitori dell’inglese) e rimanendo incantato dal suo fare sfrontato e irriverente.
Non c’è che dire, gli Arctic Monkeys hanno conquistato il podio di band rock del futuro.

Dal mio canto però, ho notato ancora un po’ di carenza sotto l’aspetto dell’impatto sonoro e della “violenza” espressiva. Rimangono ancora troppo legati ad un piacere “pop” e finora purtroppo, mi sono parsi ancora “solo proiettati” verso una grandeur più propriamente “rock”.
Questo vuole essere solo un incoraggiamento, uno sprone, a puntare ancora e con più forza verso le ultime sonorità davvero più adulte e mature rispetto al suono acerbo degli album passati.

19 Giugno – Seconda serata – Tomahawk + Black Rebel Motorcycle Club


Veniamo così al 19 Luglio, il secondo giorno.
E’ il turno dei Black Rebel Motorcycle Club e dei Tomahawk .

Ok lo ammetto, sono un po’ di parte.
Seguo i B.r.m.c. dagli albori e li ho visti già diverse volte. Sebbene non abbiano mai fatto completamente breccia nel mio cuore, sono una band che rispetto molto per la loro coerenza, indifferenza e distacco dalle mode e quindi, in fondo, per la loro rock-attitude. Inoltre, con il loro ultimo lavoro, “Specter at the Feast” (2013), mi hanno riconquistato dopo una piccola “pausa di riflessione” e quindi sono stato davvero felice di rivederli.

E l’attesa non è stata vana.

Il set messo in piedi dalla band è stato un ottimo compromesso tra presente e passato. Nonostante l’inappropriatezza dell’orario (erano le 19), i due di San Francisco (la batterista Leah Shapiro è subentrata nel 2008 ed è danese) sono riusciti a conquistare il pubblico, anche quello meno adulto.
Forse la band non è adattissima a contesti all’aperto, dove la mancanza di una seconda chitarra si fa sentire enormemente, ma in ogni caso lo spettacolo è stato più che gradevole. Anzi, devo ammettere che sono riusciti a trasmettere quel senso di conturbante tenebrosità che li contraddistingue. Un mix calcolato di calde sonorità country-blues continuamente imperversate da graffianti sferzate rock. Questo sono i B.r.m.c. ed è necessario lasciarsi andare e farsi prendere per immergersi nel loro mondo fumoso e perverso.
Certo, c’è voluta la super hit che li ha lanciati  - Whatever Happened to My Rock 'n' Roll (Punk Song) – per far esplodere definitivamente il pubblico, ma non gli si può recriminare davvero nulla.
58 minuti di sano ed onesto rock’n roll!

Ed ora, scusate, ma è necessario un pizzico di attenzione supplementare: siamo arrivati alla sorpresa del Festival.


Mike Patton ha attraversato ogni genere (oltre che il mondo) e quindi, anche se per vie traverse, un po’ tutti lo conoscono, almeno di nome.
Io ho avuto la fortuna di vederlo a Lisbona per la reunion dei Faith No More e poi a Zambujera do mar con il suo progetto tutto italiano “Mondo cane”.
Avevo anche una pallida conoscenza dei Tomahawk (ennesimo progetto del cantante californiano) ma non li avevo mai visti dal vivo o ascoltati con particolare trasporto.
Beh, sono lieto di annunciarvi che se non fosse stato per i Q.O.T.S.A., dovrei eleggere loro a “miglior band del Super Bock Super Rock 2013”.
Un live strepitoso che ha strappato l’attenzione anche ai più recidivi e distratti della prima fila in fervida attesa dei loro idoli-pop.

 Non è una band “orecchiabile”, questo no.
Continui controtempi, growl misto a falsetti a ripetizione, tempi dispari, effetti estremi, insomma non siamo di certo di fronte ad una band godibile al primo ascolto.
Ed all’inizio anche io nutrivo seri dubbi.
Se non fosse stato per un bullo di fianco che sin dalle primissime battute ha vorticosamente cominciato a creare il vuoto attorno a sé (forse dimenticando che la scure - simbolo della band - disegnata sulla maglietta non era reale!!), magari  non avrei compreso immediatamente il tipo di trasporto che la band è capace di creare dal vivo.
Rapidamente sono stato trascinato in un ciclone di sonorità morbose ed oscure.
E dire che non è esattamente il mio genere.
Eppure non riuscivo a distogliere lo sguardo o l’ascolto.

L’attenzione è stata totale e se non mi fossi sentito un tantinello deficiente e decisamente meno robusto del mio rivale, forse mi sarei unito al ragazzo di fianco che continuava ad imperversare nella sua personale interpretazione di qualche danza di guerra.
Un crescendo esplosivo insomma, che purtroppo non ha coinvolto tutti, creando
 anche dei piccoli momenti di tensione verso il finale tra Mike (che più volte e provocatoriamente mimato lo sbadiglio contro il pubblico) e la giovane platea.
I Tomahawk sono degli animali da palco ( e su questo non ci sono dubbi).
Ma penso di poter andare oltre e dire senza temere smentite, che Mike Patton è il miglior performer Rock in circolazione (o almeno che io abbia visto). Un cantante straordinario, un leader indiscusso, un artista completo.

Il resto della serata ho scelto di passarla a Lisbona, ma non me ne volete!

20 Giugno – Serata Finale (parte prima) – Queens of the stone age + Gary Clark Jr. + Ash

Siamo arrivati all’ultimo giorno. Ed è un gran dispiacere.
Sì perché il Super Rock Super Bock quest’anno festeggiava il suo 19° compleanno ed anche a me che non c’ero mai stato prima, è sembrato di esser parte di una grande comunità.
Sembra assurdo pensarlo, ma si percepisce distintamente l’evoluzione ed il sudore che negli anni hanno portato l’organizzazione a questo livello di professionalità.
Non sono un grandissimo fan degli show all’aperto: troppo spesso il sound è pessimo (se non capiti di fronte alla cabina del fonico!); i servizi quasi inesistenti e le attese per ogni altra attività (dal bagno alla ristorazione) totalmente snervanti.
Almeno in Italia.
Qui invece, contrariamente alla nomea dei paesi mediterranei in genere, tutto ha funzionato. Magari non c’è ancora la specializzazione estrema di manifestazioni come lo Sziget in cui è proibito portare denaro all’interno ed ogni servizio viene pagato con una carta ricaricabile ad hoc.
Tuttavia, anche questo ha forse contribuito al fascino discreto del S.B.S.R., ancora a dimensione “locale”, ma non per questo provinciale nel cartellone o caotico ed inefficiente nell’organizzazione.

Merita però una menzione particolare l’audio delle tre giornate.
Benché ci trovassimo su una spianata a metà strada tra una foresta da un lato ed un declivio dall’altro, il suono è stato sempre eccezionale da OGNI angolatura si prendesse il palco ed a qualsiasi distanza.
Non voglio esagerare, ma a me è sembrato quasi un prodigio “fonico”.
Fino ad allora non avevo mai avuto la fortuna di assistere ad un concerto all’aperto così perfetto dal punto di vista dell’acustica.

Il resto dell’organizzazione magari non è stato altrettanto all’altezza.
Qualche fila qui e lì c’è stata, ma nel complesso tutto ha funzionato.
I servizi erano una vera moltitudine, ma anche l’offerta gastronomica è stata molto varia: si andava dai panini dell’Alentejo al kebab, dallo stand del caffè a quelli sconfinati della birra (chiaramente Super bock!).

C’è anche spazio per uno spunto di colore.
Da ogni parte della folla si aggiravano strane antenne colorate, anche nei momenti di maggior pogo. All’inizio non si capiva esattamente cosa fossero. Erano i “ragazzi della birra” che, incuranti dei colpi che ricevevano, giravano con zaini enormi per vendere delle fondamentali pinte (a quel punto dei concerti sì!) in modo che la gente non dovesse perdere il posto faticosamente guadagnato.
E vi assicuro che il loro sforzo è stato ampiamente premiato perché hanno venduto davvero centinaia di ettolitri di birra!

Ed ora veniamo agli ultimi concerti.
Non me ne abbiate a male fan degli “Ash” ma davvero non so che dire sulla loro performance. E devo confessarvi che ho anche seguito poco il loro live.
Quindi non vorrei dare dei giudizi distorti.
La sensazione è che siano dei buoni mestieranti, ingabbiati però dal successo della loro antica (e unica?) hit – “Burn baby burn”.
L’impressione, insomma, è stata che avrebbero potuto suonare qualsiasi cosa di meraviglioso, ma la gente non voleva sentire nient’altro che quel brano.
Ed anche loro mi sono sembrati frustrati da questa situazione, relegando alla fine della scaletta il loro asso nella manica, sperando così di attirare l’attenzione della platea sul resto del concerto “in attesa di burn baby burn”.
Ma così non è stato.
Loro però ce l’hanno messa tutta e per questo meritano il dovuto rispetto.

Ad esclusione di quest’ultima esibizione che consideriamo come “non classificata”, l’ultima serata ha avuto il pregio di riservarci il meglio ed il peggio di tutto il “Super Bock Super Rock 2013”.
Prima dei Q.o.t.s.a., senza alcuna ragione apparente, l’organizzazione ha infatti deciso di proporre come apripista il misconociuto Gary Clark Jr..
Ora, detto che è un bel ragazzo di colore (è anche modello ed attore), che ha un’indiscutibile ed ottima conoscenza della chitarra, nonché una discreta voce, uno spettacolo (e più in generale un artista) non può assolutamente reggersi solo su virtuosismi ripetuti fino all’esasperazione.
E’ stato un vero strazio per me, ma anche per chi mi era intorno ad esclusione di quelli storditi dall’effetto di stupefacenti di varia natura.

Assoli di minuti e minuti di chitarra senza senso.
Era fin troppo evidente che i musicisti che lo accompagnavano erano turnisti che assecondavano (per mero denaro) il piacere che Gary si auto-induceva guardandosi nei monitor mentre eseguiva miriadi di scale blues senza sosta.

Ripensandoci meglio però… forse forse è stata una scelta oculata quella degli organizzatori!
Già me li immagino sudati e stretti dai tempi che si scervellano a riempire il cartellone dell’ultima giornata una volta che il cache a disposizione è stato completamente prosciugato per assicurarsi i Q.o.t.s.a. di Sabato:
“Sentite ..sentite.. ho trovato la soluzione!!”.
“Vai spara”.
“..che ne dite di Gary Clark Jr.? eeeh?”.
“CHI?!?!?!”.
“Sì sì ..è uno che ci sta continuando a proporre l’etichetta. Pensate un po’.. è gratis!!!”


O più semplicemente non è andata così, ma comunque questa resta l’unica spiegazione razionale per una scelta così assurda.
Chiuso per me per sempre il capitolo Gary Clark Jr. (che ora chiaramente, per contraddirmi, da qui a due anni avrà un successo planetario alla Lenny Kravitz), pensiamo al momento clou del festival.
Il motivo stesso per cui ho fatto 2790 Km.



20 Giugno – Serata Finale (parte seconda) – Queens of the stone age + Gary Clark Jr. + Ash

Queens of the stone age

Band ormai diventata culto nel corso degli anni.
E’ una delle pochissime in vita a tenere ancora alto il vessillo del Rock.
Continua ricerca sonora ed un genio di fondo, chiamato Josh Homme, che fa trascendere il loro sound sia dai generi che dalle epoche.
Insomma uno dei (se non “il”) miglior gruppo in circolazione nell’ultimo decennio.

L’attesa era davvero spasmodica.
I Q.O.T.S.A. non pubblicavano un album dal lontano 2007 (“Era Vulgaris”) ed da allora non c’era stato modo di rivederli in Italia.
“..Like clockwork” appena uscito, si sta rivelando un vero capolavoro.
Un netto cambio di stile per la band che nel suo continuo processo di evoluzione (non c’è un loro album con un sound identico al precedente) ha tagliato decisamente i ponti con il passato abbracciando sonorità più dolci, ma anche profondamente tenebrose.
Una piccola rivoluzione, insomma, di cui godevo l’attesa per vederne gli effetti anche in versione live. La tensione era altissima, anche intorno a me.


Ed a dir la verità sono arrivato ben informato all’evento: nei live la scaletta era composta dall’album eseguito per intero con in più alcune piccole divagazioni sul passato, ma rimanendo sempre su sonorità tutto sommato quiete.
Qui, invece, i Q.o.t.s.a. hanno deciso di cambiare.
Con mio immenso piacere.
Il set messo in atto è stata una vera fucilata. Un susseguirsi delle hit più Stoner con un trittico d’attacco al fulmicotone: “.. Millionaire”, ”No One Knows”, “My God Is the Sun”.


Il pubblico è letteralmente impazzito.


E’ una festa riuscita quella organizzata dai QOTSA.
Dietro di loro lo schermo proietta senza interruzioni, immagini prodotte dal grafico inglese Boniface, adottato per l’occasione dalla band per la gestione di tutto l’”Art-work” dell’album ed ora anche del tour.
Immagini abrasive che collimano perfettamente con i suoni perversi dell’ultimo lavoro.

Quanto alla band.
L’ingresso di Jon Theodore al posto di Joey Castillo dietro le pelli ha dato nuovo vigore al gruppo. Fino ad ora nei Q.o.t.s.a. non si erano visti momenti live dedicati ad assoli di batteria, ma l’istrionico ex-Mars Volta non poteva contenersi e quindi un paio di volte si è lanciato in assoli moderati, ma comunque virtuosi.
Dean Fertita, sembra un membro della prima ora.
Completamente immerso nella nuova esperienza (dopo i The Raconteurs ed i The Dead Weather) appare come il cardine mancante all’ingranaggio Q.o.t.s.a. . Polistrumentista, lo si trova a volte al piano/tastiera, altre alla terza chitarra, sempre ai cori ed in alcuni brani anche alla prima chitarra.
Michael Schuman – al basso – è il ragazzino della band. E si vede, perché si sente notevolmente più a suo agio con il pubblico quasi-coetaneo. C’è da dire però che tiene il palco come un veterano, insomma ha già la stoffa del leader.
Infine il braccio destro di Homme, Troy Van Leeuwen - chitarra.
Geniale polistrumentista, è l’alter ego di Josh. Elemento indispensabile, colora ed arricchisce ogni brano di effetti e suoni inconfondibili che contribuiscono a creare il loro indiscutibile sound. Un personaggio sia in studio, che dal vivo con il suo stile estetico assolutamente impeccabile.

Ed infine arriviamo alla mente della band.
Josh questa volta purtroppo non era in condizioni ottimali.
Era visibilmente stanco (questa era l’ultima tappa del tour europeo prima della pausa estiva) e per tutta la prima parte del concerto è apparso andare col pilota automatico, senza particolare enfasi.
C’è stato un punto di svolta però:
Da “Make it with chu” in poi l’atmosfera è completamente mutata. Forse perché ad Homme in questo periodo piacciono molto le canzoni “Sexy”, danzerecce? non saprei dire, però di certo c’è che si è lasciato completamente andare.
La prova inconfutabile è l’ “ancheggiare”. Quando comincia ad ondeggiare con l’anca a tempo con la musica che suona, significa che la magia è compiuta!
Parte a coinvolgere il pubblico e finalmente interagisce e guida i fan fino alla fine del concerto.

Dopo lo sfogo ed i furori della prima metà del concerto, l’aria è diventata quasi conviviale ed il relax prende il sopravvento.
Fermati a pensarci su un attimo. Immagina di essere in estate, sei in Portogallo - un Paese meraviglioso, ascolti un paio di canzoni della tua band preferita, un paio di birre assestate al momento giusto dopo esserti appena sfuriato ed all’improvviso, davvero per effetto di un incantesimo speciale,  migliaia di persone entrano all’unisono in una condivisione perfetta di sensazioni ed emozioni.
E’ il fascino del rock.
Un’esperienza mistica che solo concerti memorabili riescono a trasmettere.

Lo show scivola di lì fino al trittico finale da urlo: “Feel Good Hit of the Summer”, “Go With the Flow”, “A Song for the Dead”.
Una vera e propria deflagrazione.
Provare per credere.

Insomma, una tre giorni di musica ad altissimo livello.
Con un pubblico giovane e rilassato. Di certo non “selezionato e pazzo” come quello italiano, ma comunque assolutamente festoso.
Un’esperienza da riprovare e riprovare finché se ne ha la possibilità.

Purtroppo, l’Europa è molto più avanti di noi occorre ribadirlo ed un evento di questo tenore, tarderà ad arrivare in Italia.
Forse anche per colpa del pubblico troppo “di parte” in molte occasioni.
Di certo per le responsabilità delle agezie di eventi che non hanno il coraggio di proporre qualcosa di diverso e non assolutamente “sicuro” come un concerto dei “Muse” o di qualche autore nostrano.

Insomma, non c’è il coraggio di spingersi a guardare un po’ più in là.
Ed è un peccato perché all’estero non ho mai trovato il calore e la furia che il pubblico italiano riesce a trasmettere alle band, ricevendone in cambio una dose aggiuntiva di adrenalina e passione.
Bisogna però cominciare a guardare agli eventi di questo tipo in maniera diversa concependoli come un’esperienza completa e non a “compartimenti stagni/per genere” (ved. ad es. il Gods of Metal).
Nel contempo è opportuno anche mantenere sempre una certa coerenza musicale di fondo nella composizione del cartellone.
E’ un processo lungo che, come è successo da anni in Europa, ci porterà ad avere una “coscienza musicale” molto più aperta ed accogliente.
Speriamo davvero che qualcosa progressivamente possa cambiare anche nel nostro Paese.
Intanto, mi auguro di aver trasmesso un po’ di curiosità riguardo ai live all’estero e magari, chi può dirlo, di incontrarvi al prossimo Super bock Super rock!