A cura di Eli Brant
Gli "Hesitation marks" sono i tagli, le ferite, ciò che resta di un suicidio mancato.
E' un'immagine di un'estrema violenza, fisica ed emotiva.
Non è facile pensare cosa attraversi la mente di un suicida e la profonda tragicità di quegli attimi. I segni, le cicatrici, le lacerazioni del corpo, invece, sono visibili. Immediatamente figurabili e percebili. Ed è questo il concetto che Trent Reznor, uno degli ultimi geni del Rock, ha tentato di trasporre in musica. Una sofferenza profonda, lancinante, che lascerà per sempre traccia. Non aver avuto la forza di imprimere il colpo decisivo, oppure aver avuto il coraggio di fermarsi? Trent non giudica.
Si limita a raccontare, descrivere con la musica i segni dell' "esitazione".
Forme di esitazioni, quelle che forse ognuno di noi, con sfumature ed intensità diversa, si trova ad affrontare quotidianamente.
"Questo è l'ultimo tour dei NIN" gridava nel 2009 Reznor, ma nessuno, forse neanche lui stesso, credeva in fondo a quelle parole. Certamente però, gli anni di pausa sono stati proficui. Oltre all'Oscar per la (bellissima) colonna sonora di "The Social Network" composta in compagnia di Atticus Ross, Trent ha creato in collaborazione con la moglie Mariqueen Maandig, gli "How to destroy angels": un progetto di rock elettronico davvero ben riuscito.
Senza dimenticare poi le infinite collaborazioni sparse tra cui, su tutte, il rafforzamento del rapporto con Dave Grohl e Josh Homme (ascolta "Mantra" dalla colonna sonora di "Sound city").
Insomma, i tempi erano maturi per un ritorno sulle scene.
Nonostante questo, la preparazione dell'album non è stata pubblicizzata per niente. Anzi, è stato registrato in gran segreto ed ha assolutamente colto tutti di (piacevole) sorpresa. Non penso di essere un fan assoluto dei NIN e faccio sempre difficoltà ad accettare ed entrare nel sound dei loro dischi. Non a caso adoro i loro lavori più recenti e forse più "melodici" come "Year zero" e "With teeth" (con buona pace dei veri fan).
Da questo punto di vista, "Hesitation Marks" si presenta come un vero pugno allo stomaco (per me): elettronica spinta ed un sound freddo, robotico ("industrial"?) davvero impossibile da digerire al primo ascolto.
Ci vuole pazienza.
Si percepisce infatti da subito, che dietro questa coltre di freddezza c'è altro da scoprire. Oggi, dopo aver avuto modo di assaporarlo a lungo (molto a lungo) posso affermare senza remore di trovarmi davanti ad un (quasi) capolavoro. "Hesitation Marks" è un susseguirsi incredibile di meravigliose canzoni, tutte potenzialmente singoli e soprattutto straordinariamente differenti tra loro.
"A copy of a" apre le danze (dopo l'intro oscura di "The Eater of Dreams") con una ritmica robotica e ipnotizzante ed un testo di denuncia di puro realismo ("I am just a copy of a copy of a copy Everything I say has come before").
Viene il turno del singolo "Come back haunted" accompagnato dal video stroboscopico ed alienante di David Lynch. Un brano potentissimo dal ritornello in levare impossibile da scrollarsi dalla testa. Seguono le intense "Find my way", "All time low" e soprattutto "Disappointed" vera perla del disco. La "pop-eggiante" "Everything" mi sembrava la meno riuscita, ma poi con gli ascolti si fa apprezzare nonostante il carattere ammiccante.
La sorpesa vera però c'è nella seconda parte dell'album.
Dopo sei brani di altissimo valore infatti, di questi tempi non ci si aspetta altro di buono diciamocelo.Fisiologicamente, insomma, accetteremmo anche un calo ed invece Trent ci stupisce ancora, inserendo "Various method of escape": un brano immenso.
Difficile da comprendere all'inizio, ma impossibile da non amare subito dopo.
E' un brano che rappresenta in estrema sintesi l'essenza di quest'album: un guscio duro che racchiude un succo prezioso. E anche le canzoni hanno lo stesso impianto: acide all'inizio, ma sempre più dolci a furia di masticarle.
Chiudono l'album della durata di 61:50 min, la danzereccia "Satellite" e la conturbante "I Would for you" che esplode in un ritornello in cui vi ritroverete, inconsciamente, ad urlare con Trent: "If I could be somebody else– Well, I think – I would for you". In two, While I'm still here (che mi richiama qualcosa del Trip hop anni '90) e Black Noise lasciano, infine, un ottimo retrogusto in bocca al termine dell'album.
Insomma, è un disco davvero ostico, ma tutta la fatica necessaria per accettarlo e comprenderlo, muterà rapidamente in amore e dedizione per questa ritrovata band. Lo si può anche vedere come un insieme di singoli più che un album vero e proprio. O più semplicemente, ogni brano costituisce una traccia di quei "segni" che Trent ha esitato a lungo a pubblicare. Per fortuna l'urgenza espressiva gli ha imposto di condividerli.
E tutti noi, ve l'assicuro, gliene saremo grati.
VOTO: 85/100
1. "The Eater of Dreams" (0:52 min)
2. "Copy of A" (5:23 min)
3. "Came Back Haunted" (5:17 min)
4. "Find My Way" (5:16 min)
5. "All Time Low" (6:18 min)
6. "Disappointed" (5:44 min)
7. "Everything" (3:20 min)
8. "Satellite" (5:03 min)
9. "Various Methods of Escape" (5:01 min)
10. "Running" (4:08 min)
11. "I Would for You" (4:33 min)
12. "In Two" (5:32 min)
13. "While I'm Still Here" (4:03 min)
14. "Black Noise" (1:29 min)