Report a cura di Antonio Spina
Pistoia: sono le 18,30 di un afosissimo pomeriggio toscano quando entro in Piazza del Duomo dopo circa mezz'ora di fila (credevo peggio) fortunatamente non sotto il sole visto che per accedere alla piazza sono stati creati dei varchi tra le stradine ombreggiate della citta'. Una volta dentro ne approfitto per refrigerarmi accomodandomi premurosamente sulla tribunetta al lato del palco (un'altra è in fondo alla piazza) e mentre gusto con amore i sensuali panini bresaola e rucola, ecco che sul palco inizia la carrellata di band di apertura. Bene,se avessi tenuto gli occhi chiusi durante i loro avvicendamenti avrei sicuramente pensato si trattasse di un'unica band visto che suonano tutte uguali. E ci si mette pure il lavoro a dir poco obrobrioso dei fonici i quali riescono nell'intento di farmi indispettire facendomi desiderare ancor piu' la "venuta" sul palco del dio Zakk e dei suoi BLS. Passa un'oretta circa: ci siamo.
Decido di scendere dalla tribunetta e raggiungo abbastanza agilmente le prime file.Il concerto inizia alle ore 21, mezz'ora prima dell'orario annunciato. Classico suono di sirena e con un muro di Marshall Jcm 800 alle spalle e collana di teschi intrecciata all'asta del microfono (con tanto di crocefisso) ecco che Zakk inizia a suonare il riff di The Beginning...at last, da tempi immemori ormai pezzo di apertura dei concerti dei BLS. La band appare particolarmente in forma e a confermarlo è la successiva Funeral Bell. I 45 gradi diventano 90 in mezzo alla folla di rockers che si accalcano sotto al palco. Il tutto è contornato dall'unica nota storta della serata: nelle prime file il sound è bruttino. Poco intellegibile. Persino la chitarra di Zakk sembra "lontana". Decido allora di spostarmi nelle ultime file ed è qui che trovo la migliore resa acustica.
Nel frattempo il concerto scorre e anche abbastanza velocemente:i primi pezzi dell'ultimo disco sono Heart of Darkness e My Dying time,entrambi perfettamente eseguiti. Seguono Damn the Flood e Angel of Mercy con al piano il secondo chitarrista Dario Lorina. Noto un'eccessiva riverberazione nella voce di Zakk, sicuramente dovuta all'esigenza di camuffare eventuali sbavature della sua voce, purtroppo non al meglio della condizione. Ma dal punto di vista chitarristico fatico a trovare di meglio nel panorama hard-rock/metal moderno: l'epico momento del guitar solo è di quelli da lasciar impietriti. Una pulizia ed una violenza esecutiva inaudita, unite a feedback e all'uso smodato del tremolo (Sir Eddie Van Halen insegna) sono quelle cose che ti fanno capire che 3 ore e mezza di macchina e ore di attesa al caldo cocente sono davvero valse la pena.
Non poteva chiaramente mancare la dedica all'amico Dimebag Darrel (con tanto di gigantografia):è sempre un piacere emozionarsi con In this River nel quale trova spazio un solo di Dario Lorina che ti fa capire ancora di più cosa vuol dire essere Zakk Wylde. Il concerto si chiude con Concrete Jungle e Stillborn. Ci si sarebbe aspettati un bis con Fire it up o Denstruction Overdrive ma il tempo stringe: i Darkness scalpitano. Il leader dei BLS saluta i fans alla sua maniera, issando dapprima la sua doubleneck e poi il gillet con il logo della band, concludendo con il "battimento di petto" alla King Kong maniera e abbandonando definitivamente lo stage.
Passa una mezz'oretta abbondante, giusto il tempo di prendere aria e rinfrescarsi con litri d'acqua, che ecco che Justin Hawkins e compagni guadagnano il palco. Il leader della band britannica è irriconoscibile: look rinnovato e addio baffi e pizzetto (ho fatto fatica a riconoscerlo). Black Shuck è il pezzo di apertura: rimango fulmineamente a dir poco stupito dalla bravura del nuovo batterista, Rufus Taylor, figlio dell'immenso Roger (leader dei Queen). Tocco che riporta subito alla mente l'immagine del padre, a confermare la tesi che "buon sangue non mente". Una volta terminata Black Shuck parte a razzo Open Fire, secondo singolo estratto dall'ultimo album della band "Last of our kind". La band è compatta e l'intesa è davvero perfetta. Justin come al solito domina il palco da vero Frontman (con la effe maiuscola) e anche le esibizioni canore sono all'altezza. E' davvero un piacere trovarlo cosi' in forma. A parte i classici pezzi che la band esegue nei suoi live, da One Way ticket to Hell a Love is Only a feeling,una menzione particolare va a Street Spirit (Fade Out), cover dei Radiohead presente nel disco "Hot Cakes": una vera bomba ad orologeria. I soli di chitarra sono sbalorditivi....rimango stupito. Non mi aspettavo che fosse questo il miglior pezzo del live.
I nuovi pezzi vengono comunque padroneggiati da tutti i membri della band (si vede che li avranno provati davvero tanto). Barbarian, primo singolo estratto dall'ultimo disco, è una vera mina vagante. Il pezzo rende davvero bene dal vivo. Passando per l'imprescindibile "I believe in a thing called love" il concerto si conclude con "Love on the rocks with no ice", durante la quale Justin dapprima scende tra il pubblico sulle spalle di un roadie, continuando ad assoleggiare, successivamente una volta risalito sul palco inizia ad arrampicarsi sulle americane in mezzo a casse e luci, esibendosi in una performance acrobatica che manda tutti in visibilio. Il concerto volge al termine e Justin saluta educatamente tutti ringraziando per la partecipazione alla performance rock'n'roll della sua band ed esclama un "see you soon" che lascia ben sperare in vista di una prossima data in Italia.