Ed eccomi qui, a guardare dal vivo per la terza volta un concerto di Bryan Adams.
Lo avevo visto nella stessa location nel 2011 e l'anno successivo, in acustico, alla splendida Royal Albert Hall (clicca qui per il live report). Entrambi i concerti mi sono piaciuti molto, ecco perché mi trovo di fronte al vecchio Bryan per la terza volta in pochi anni.
Il tour é quello di Ultimate, l'ultima raccolta del rocker canadese composta tanto da bellissime canzoni quanto inutile, se come il sottoscritto avete delle raccolte precedenti.
Arrivo alla solita O2 di Greenwich (ci sarò stato un milione di volte, ormai) e mi piazzo con un amico abbastanza lontano dal palco, ma seduti molto comodi e centrali rispetto al palco. In puro stile americano non mi sono fatto mancare un hamburger e una birra, mentre passava quello dei popcorn (con tanto di bandierina). Siamo a Londra, non in America, lo so. Ah, quasi dimenticavo... Prima di arrivare all'arena, all'uscita metro c'era il solito cartello della società di trasporti che riguardava l'artista in questione.
Il palco è essenziale che più essenziale non si può: solo un piano e la batteria. Niente amplificatori, monitor e spie, niente di niente. Ovviamente, data la grandezza dell'arena (la piú grande al chiuso di Londra) non manca un megaschermo alle spalle della band.
Si parte con Ultimate Love, che in sede live suona meglio che da studio, seguita dalla vecchissima Can’t stop this thing we started con un bel video girato in un centro commerciale dove Bryan passeggia tranquillamente e dà il 5 a questo e quello.
I suoni sono eccezionali, a mio avviso, sin dalla prima canzone. Unico appunto: i piatti della batteria erano troppo bassi di volume mentre la chitarra di Keith Scott era un po' troppo alta. Onestamente ho sofferto solo per la batteria, in quanto adoro ascoltare Keith Scott, assolutamente formidabile nella successiva It's only love. Siparietto divertente: Bryan ha fregato tutti facendo credere che c'era Tina Turner pronta a cantare la canzone con lui.
Con la abbastanza recente e piacevole You belong to me Bryan spiega cos’è il rockabilly e invita le prime file a danzare durante la canzone, prontamente inquadrate dalle telecamere.
Segue un momento acustico con la bellissima (ma solo in acustico, dato che da disco mi fa cagare) Here I am e la famosa Baby when you’re gone , ai tempi cantata in duetto con Mel C delle Spice girls) dove Bryan fa un po’ un casino con gli accordi. Per evitare altri casini la seconda strofa l’ha cantata stoppando le corde e facendo cantare il pubblico. Ogni tanto qualche erroruccio della band c’è stato (ne ho notato qualcuno di troppo nella batteria) ma alla fine preferisco un live non perfetto a uno perfetto, l’ho sempre pensata così.
Bryan Adams dietro al microfono, invece, é sempre impeccabile, canta sempre come un ragazzino, con un’estensione intatta e con una precisione da fuoriclasse assoluto. Lo ripeto, è uno dei migliori cantanti rock della storia in sede live, a livello di precisione (considerando la difficoltá delle canzoni).
Proseguendo con la scaletta non possono mancare superclassici messi qui e li che fanno cantare tutti come Heaven, Summer of 69, (Everything I do) I do it for you e Run to you e si passa da canzoni piú recenti a canzoni datatissime come Somebody, che mi danno la prova che il suono delle Fender Stratocaster sia molto più adatto (perlomeno, per i miei gusti) al suono della band, al posto del suono piú vintage che la band usa per il nuovo materiale. A proposito di cambi di chitarra, é sempre un piacere riascoltare Have you ever really loved a woman?, anche se Keith Scott con la classica non è Paco De Lucia (che suona nel l’originale).
Cuts like a knife risulta una bomba per la partecipazione del pubblico (avete presente i "nanana" finali?) e poi è il turno della mia amata 18 till I die (alla quale ho dedicato anche un articolo, qualche anno fa). Curiosità: il testo originale di quest'ultima diceva "Someday I'll be 18 going on 55". Il testo è stato modificato per motivi d’età a 65. Nell'ultima strofa invece ha cantato 59. Bella trovata.
Verso la fine dello show Bryan ci dice ha lavorato per due anni e mezzo al musical di Pretty woman (che partirá dagli States quest'estate) ed ha invitato sul palco la cantante britannica dello show. La canzone che hanno eseguito, I can't go back, non mi ha colpito particolarmente, così come la cantante che secondo me è risultata un po’ inadeguata per guidare una rock band in questa occasione. Sono sicuro che col musical e altre atmosfere se la cavi molto meglio.
Ancora momento acustico per gli ultimi brani del concerto: Straight from the heart è dedicata alla madre novantenne in ospedale. Bryan ci racconta che da ragazzino le ha chiesto i soldi designati originariamente per il college per comprare invece strumenti musicali. Morale della favola: al college non ci andrá mai e lascerá prima pure la scuola. Direi che ha fatto una buona scelta. Nella conclusiva All for love Bryan è tentato dal farci credere che ci siano Rod stewart e Sting (come nell'originale) dietro le quinte, ma stavolta accenna solamente lo scherzo.
Il concerto mi è piaciuto molto, complessivamente: suono generale magnifico e un frontman sempre con una voce eccezionale, in palla, comunicativo e ironico quanto basta. Forse una scaletta con qualche sorpresa in più non mi sarebbe dispiaciuta ma ero al corrente che questo fosse il tour del greatest hits Ultimate, quindi va bene così. Ci vediamo la prossima volta, Bryan!
Top songs: Cuts like a knife, 18 Till I die, It's only love.
Ne avrei fatto volentieri a meno: Cloud #9
Lo avevo visto nella stessa location nel 2011 e l'anno successivo, in acustico, alla splendida Royal Albert Hall (clicca qui per il live report). Entrambi i concerti mi sono piaciuti molto, ecco perché mi trovo di fronte al vecchio Bryan per la terza volta in pochi anni.
Il tour é quello di Ultimate, l'ultima raccolta del rocker canadese composta tanto da bellissime canzoni quanto inutile, se come il sottoscritto avete delle raccolte precedenti.
Arrivo alla solita O2 di Greenwich (ci sarò stato un milione di volte, ormai) e mi piazzo con un amico abbastanza lontano dal palco, ma seduti molto comodi e centrali rispetto al palco. In puro stile americano non mi sono fatto mancare un hamburger e una birra, mentre passava quello dei popcorn (con tanto di bandierina). Siamo a Londra, non in America, lo so. Ah, quasi dimenticavo... Prima di arrivare all'arena, all'uscita metro c'era il solito cartello della società di trasporti che riguardava l'artista in questione.
Il palco è essenziale che più essenziale non si può: solo un piano e la batteria. Niente amplificatori, monitor e spie, niente di niente. Ovviamente, data la grandezza dell'arena (la piú grande al chiuso di Londra) non manca un megaschermo alle spalle della band.
Si parte con Ultimate Love, che in sede live suona meglio che da studio, seguita dalla vecchissima Can’t stop this thing we started con un bel video girato in un centro commerciale dove Bryan passeggia tranquillamente e dà il 5 a questo e quello.
I suoni sono eccezionali, a mio avviso, sin dalla prima canzone. Unico appunto: i piatti della batteria erano troppo bassi di volume mentre la chitarra di Keith Scott era un po' troppo alta. Onestamente ho sofferto solo per la batteria, in quanto adoro ascoltare Keith Scott, assolutamente formidabile nella successiva It's only love. Siparietto divertente: Bryan ha fregato tutti facendo credere che c'era Tina Turner pronta a cantare la canzone con lui.
Con la abbastanza recente e piacevole You belong to me Bryan spiega cos’è il rockabilly e invita le prime file a danzare durante la canzone, prontamente inquadrate dalle telecamere.
Segue un momento acustico con la bellissima (ma solo in acustico, dato che da disco mi fa cagare) Here I am e la famosa Baby when you’re gone , ai tempi cantata in duetto con Mel C delle Spice girls) dove Bryan fa un po’ un casino con gli accordi. Per evitare altri casini la seconda strofa l’ha cantata stoppando le corde e facendo cantare il pubblico. Ogni tanto qualche erroruccio della band c’è stato (ne ho notato qualcuno di troppo nella batteria) ma alla fine preferisco un live non perfetto a uno perfetto, l’ho sempre pensata così.
Bryan Adams dietro al microfono, invece, é sempre impeccabile, canta sempre come un ragazzino, con un’estensione intatta e con una precisione da fuoriclasse assoluto. Lo ripeto, è uno dei migliori cantanti rock della storia in sede live, a livello di precisione (considerando la difficoltá delle canzoni).
Proseguendo con la scaletta non possono mancare superclassici messi qui e li che fanno cantare tutti come Heaven, Summer of 69, (Everything I do) I do it for you e Run to you e si passa da canzoni piú recenti a canzoni datatissime come Somebody, che mi danno la prova che il suono delle Fender Stratocaster sia molto più adatto (perlomeno, per i miei gusti) al suono della band, al posto del suono piú vintage che la band usa per il nuovo materiale. A proposito di cambi di chitarra, é sempre un piacere riascoltare Have you ever really loved a woman?, anche se Keith Scott con la classica non è Paco De Lucia (che suona nel l’originale).
Cuts like a knife risulta una bomba per la partecipazione del pubblico (avete presente i "nanana" finali?) e poi è il turno della mia amata 18 till I die (alla quale ho dedicato anche un articolo, qualche anno fa). Curiosità: il testo originale di quest'ultima diceva "Someday I'll be 18 going on 55". Il testo è stato modificato per motivi d’età a 65. Nell'ultima strofa invece ha cantato 59. Bella trovata.
Verso la fine dello show Bryan ci dice ha lavorato per due anni e mezzo al musical di Pretty woman (che partirá dagli States quest'estate) ed ha invitato sul palco la cantante britannica dello show. La canzone che hanno eseguito, I can't go back, non mi ha colpito particolarmente, così come la cantante che secondo me è risultata un po’ inadeguata per guidare una rock band in questa occasione. Sono sicuro che col musical e altre atmosfere se la cavi molto meglio.
Ancora momento acustico per gli ultimi brani del concerto: Straight from the heart è dedicata alla madre novantenne in ospedale. Bryan ci racconta che da ragazzino le ha chiesto i soldi designati originariamente per il college per comprare invece strumenti musicali. Morale della favola: al college non ci andrá mai e lascerá prima pure la scuola. Direi che ha fatto una buona scelta. Nella conclusiva All for love Bryan è tentato dal farci credere che ci siano Rod stewart e Sting (come nell'originale) dietro le quinte, ma stavolta accenna solamente lo scherzo.
Il concerto mi è piaciuto molto, complessivamente: suono generale magnifico e un frontman sempre con una voce eccezionale, in palla, comunicativo e ironico quanto basta. Forse una scaletta con qualche sorpresa in più non mi sarebbe dispiaciuta ma ero al corrente che questo fosse il tour del greatest hits Ultimate, quindi va bene così. Ci vediamo la prossima volta, Bryan!
Top songs: Cuts like a knife, 18 Till I die, It's only love.
Ne avrei fatto volentieri a meno: Cloud #9